“Letteratura di vino”: parla l’autrice, Daniela De Liso

di Franco Cesati Editore

1420813458 - CopiaAnche la letteratura italiana è un profluvio di coppe, calici, botti e bicchieri, che potremmo cominciare a libare in uno dei cortei carnascialeschi di Lorenzo, brindando poi con Pulci e con Ruzante o sorbendo il veleno della Mandragola che scalda i sensi, fino a percorrere i filari di vigne più moderne, in cui il vino è croce e delizia di questo accidente che è l’essere uomini e donne.

Daniela De Liso, Letteratura di vino

Il vino è un rimedio per i dolori della vita o piuttosto rende tutto più amaro? Daniela De Liso, ricercatrice di Letteratura italiana al Dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli Studio Federico II di Napoli, risponde nel libro Letteratura di vino. Prende le mosse da alcuni tra gli autori più importanti della letteratura latina, come Virgilio, Orazio e Marziale, e ne indaga le pagine per capire il modo in cui vivessero il vino: in quell’epoca veniva considerato un modo per lenire la sofferenza. Nella seconda parte del libro l’autrice invece si sofferma su autori fondamentali della nostra letteratura, guidando il lettore a una rilettura dei racconti del Decameron di Boccaccio, del poema di Ariosto, in un viaggio tra le vigne che Manzoni racconta nei Promessi Sposi e nel modo in cui Verga descrive il vino nei racconti e nel romanzo dei Malavoglia; senza tralasciare scrittori di una Napoli ottocentesca e la poesia di Alvaro e Scotellaro. In questo modo scopre che il bere per non viene raccontato unicamente come remedium doloris. Il testo è un saggio di bella scrittura, in cui affiorano spesso i passi degli autori citati, di cui si sente forte la voce. Le abbiamo chiesto perché.

Com’è avvenuto l’incontro con le pagine dedicate al vino degli autori che ha preso in considerazione?

Più di dieci anni fa muovevo i primi passi nella mia vita da ricercatrice e fui invitata all’improvviso a tenere una relazione a un simposio su letteratura e vino. Sostituivo un nome importante, il mio maestro. C’erano studiosi latinisti, grecisti e italianisti e parlai di Pavese, che era il mio amore di allora e di sempre. Fu una buona esperienza, così cominciai a cercare il vino in altri versi o pagine a me care e il vino da allora è stato sempre connesso alla letteratura nella mia testa e nel mio palato. Negli anni, per ora, siamo arrivati fin qui.

Quali sono le differenze sostanziali nel tono di voce degli autori di lingua latina che ha approfondito nel libro, rispetto a quelli in lingua italiana?

Poiché molti anni fa mi sono laureata in lettere classiche e ho una formazione decisamente classica, ho pensato di far iniziare il viaggio dal mondo latino. Per gli autori latini il vino svela la natura delle persone. Risolve i problemi. È remedium. Per gli autori italiani non sempre il vino risolve i problemi, qualche volta li rende più amari.

Quali sapori le hanno fatto scoprire queste pagine preziose? Quali suggestioni le hanno regalato?

Sicuramente questa prospettiva mi ha aiutata a vedere gli autori percorsi come uomini. Spesso dimentichiamo che lo sono stati, quando leggiamo. Spesso li interroghiamo come se avessero scoperto il segreto della vita. Lo hanno solo cercato per sempre. E il viaggio è più importante di Itaca stessa. Le pagine scoprono sempre luoghi indifesi dell’anima. L’autore può fingere di aver indossato una maschera quando i suoi personaggi stanno davanti a un bicchiere di vino o diventano vigna e terra e sangue. Ma forse quella maschera non l’hanno mai indossata.

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