“Un paese che non legge è un paese senza idee”. Franco Cesati a Parole Ostili

di Franco Cesati Editore

 

Ho iniziato a fare l’editore 35 anni fa, in un’altra epoca che mi appare remota e distante senza tutti gli strumenti che oggi affollano il nostro vivere. Non esisteva nemmeno il fax, i libri si componevano con il piombo, la pagina si toccava e sentivi il rilievo delle parole stampate scorrendo le dita sulla carta.

I libri si spedivano per posta, si vendevano in centinaia di librerie che allora non erano di catena ma assai più fornite di oggi. Il mercato era affollato da 16mila novità all’anno. Oggi se ne pubblicano oltre 65mila cui si aggiungono oltre 63mila ebook.

Erano vivi editori mitici che hanno f17028864_10212705753263539_272684939_natto la storia dell’editoria italiana e anche la storia d’Italia:  Einaudi, Rizzoli, Rusconi, Longanesi, Bompiani.

Le case editrici portavano i nomi dei loro fondatori che le guidavano con idee che tracciavano davvero  la strada della cultura italiana.
Quando pensai al nome per la mia casa editrice non mi persi in mille pensieri e ricerche di suggestive immagini. Con ambizione le diedi il mio nome e cognome e da subito fu Franco Cesati Editore.

Avevo 25 anni l’idea di un progetto  ambizioso  e determinato e non volevo si pensasse che mi nascondevo dietro denominazioni fuorvianti. Da subito volevo che si sapesse che ci avrei sempre messo la faccia.

E la faccia continuo a metterla anche dopo 35 anni.

Utile il libro e utili: due parole.

L’editore parte dall’idea che i libri che pensa e realizza possano essere utili, che possano lasciare una traccia, che pubblicandoli, non facciano, nel rivederli anche a distanza di anni, vergognare.

“Utili” è parola binaria: utili i libri, magari… in utile i conti, perché anche questi secondi… “utili”  non bisogna perderli di vista, hanno il valore della consapevolezza che da quell’ordine poi dipende il lavoro di altre persone, il loro di utile.

La casa editrice nacque per caso, come cantava all’epoca Gino Paoli in “eravamo quattro amici al bar”.

Nacque sui banchi dell’Università con quei quattro amici allora giovani poeti: Alessandro Ceni, Roberto Mussapi, Roberto Carifi, Luigi Tassoni. Amici che, con i versi e la poesia volevano cambiare il mondo. Anche noi, come cantava Gino Paoli nella sua canzone parlavamo con profondità di anarchia, libertà, poesia e letteratura tra un bicchiere di vino rosso e panini al salame, anche noi tiravamo fuori i nostri perché e i nostri farò.

L’avventura della Franco Cesati editore nel campo della poesia durò 10 anni poi…poi presi atto che, al contrario di quello che sosteneva il mio amico romanziere Giorgio Saviane  con la sua frase ripetuta spesso nella quale teorizzava che “la poesia ti salverà” … quei libri non mi avrebbero salvato, almeno nel dare e nell’avere perché questo paese non ha la passione che hanno in Russia per la poesia e, quella saggezza dei conti mi consigliò un  cambio di rotta. Fondai io stesso la rivista internazionale “Rassegna della letteratura italiana” e, nel 1995 pubblicai il primo libro di saggistica letteraria che era il mio “canto d’amore per la poesia” (La teoria letteraria delle generazioni di Oreste Macrì) che però segnò il mio distacco dalla poesia militante e l’ingresso nel percorso editoriale che ho sviluppato con una passione e fedeltà quasi religiosa sino ad oggi.

Dal 1995 a oggi ho pubblicato oltre 400 libri di linguistica e letteratura, s17077771_10155109140349851_1842973883_nenza mai staccarmi dalla barra della nave, senza abbandonare l’idea che le scelte editoriali devono avere “qualità” e  spessore e che devono essere accompagnate da un’attenzione scrupolosa nella realizzazione di un libro.

La qualità sta nella creazione di collane ben individuabili, che abbiano linee guida non confuse.

Sta nei contenuti. Nella scelta dei contenuti, nelle parole “giuste” che si pubblicano, che sono scritte nei libri, perché un editore ha responsabilità “morali” per  quello che pubblica.

La qualità sta nella cura della scelta di un corpo e di un carattere tipografico, nella giustezza della riga, nella scelta della carta che io amo avoriata Fredrigoni, riconoscibile al tatto e che invecchia con l’andare degli anni ma non perde la sua identità, le sue caratteristiche, il suo profumo. Ma invecchia come giusto che sia.

La qualità sta nel valore scientifico di un libro che lo rende comunque e sempre “unico”.

La qualità sta nelle persone, e anche qui vi sono arrivato in una lenta maturazione temporale, che lavorano in redazione che si prendono cura di un testo: lo leggono, correggono nel rispetto autoriale, lo controllano nelle citazioni e nella bibliografia. Insomma se ne prendono cura.  E lo accompagnano idealmente sino alle porte di una biblioteca o di una libreria. Quando dico “noi siamo editori non stampatori” intendo tutto questo.

E da tutte queste considerazioni e a questa consapevolezza sul valore scientifico e culturale dei libri, in generale, non sono partito sapendolo subito ma, come ho detto, sono arrivato con il tempo, con il confronto con tanti autori, tipografi e soprattutto collaboratori negli anni.

Questo mestiere mi ha aiutato a crescere, a capire, ad accettare le differenze a pensare a credere che un libro è una “traccia” e che queste tracce restano e non possono essere sempre “tracce” inutili, superficiali, leggere e solo “alla moda”. Sono tracce che restano e possono essere lette a distanza di anni, decenni e sulle quali il giudizio del tempo arriva.

Nei libri ho incrociato migliaia e migliaia di parole a volte, lo confesso, a me sconosciute, per le quali ho spesso dovuto consultare un vocabolario, scoprendo una ricchezza incredibile di contenuti e pensieri.

Oggi si usano poche parole, in un vocabolario minimo che viene definito “essenziale” ma che cela per lo più pigrizia di idee, scarsa volontà di capire e fors’anche farsi capire.
Si legge poco perché quello che viene definito “lettore forte” legge al massimo un libro al mese che, moltiplicato per 60 anni circa di lettura consapevole conduce alla lettura di poco più di 700 libri in una vita che, se ci pensiamo, non sono nemmeno molti.

I lettori deboli non leggono nemmeno quei 700 libri nella vita e ne possiedono ancora meno.

Ne leggono tre all’anno, per un totale approssimativo16997190_10155109137384851_862682699_n di 180 in una vita. Poi ci sono i lettori zero, ma questo è un altro discorso!

Da un’indagine dell’Associazione Italiana editori presentata nell’ottobre di quest’anno alla Fiera del Libro di Francoforte apprendo che la cosiddetta classe dirigente per oltre il 40% continua a non leggere e questa classe dirigente è formata da manager, imprenditori, liberi professionisti che dichiarano di non aver letto nemmeno un libro in un anno.

Solo il 10% di questi ha letto un libro al mese.

E allora possiamo vedere roseo nel futuro del nostro paese?

Perché leggere poco,  significa confrontarsi poco, avere poca disponibilità all’ascolto, al travaso di idee e di diversità.

Come ho già detto, son partito che non esisteva il fax e… sono passato dalla stampa a piombo a quella digitale dalle tirature da 1000 “tanto è solo carta” alla stampa digitale dove stampi quello che ti serve e annulli il magazzino.

E poi, poi il primo sito e… poi un nuovo sito e infine i social, la consapevolezza che questo mondo non va “temuto” ma “percorso”.

Facebook, twitter… la rete, le notizie, i pensieri, le idee che corrono veloci.

Si sono persi dei filtri, se ne sono certamente acquisiti  altri.

Un editore, credo, non deve fare dei propri social solo una sorta di vetrina del suo fare, degli eventi, delle presentazioni dei propri libri, come pure non può sostituirsi agli organi di informazione.

Ma a queste considerazioni, giuste o sbagliate che siano si arriva percorrendo la rete, sbagliando molto e ripartendo. I social Cesati hanno percorso diverse stagioni trovandone adesso una che assomiglia molto ai nostri libri. Dai nostri libri agganciamo, attraverso le parole, le idee, gli autori, il mondo reale, le persone, gli avvenimenti. Non facciamo, a mio giudizio informazione, facciamo, se me lo consentite “letteratura”.

E la facciamo, con quelle stesse parole, spero giuste, ma non dobbiamo nemmeno temere che a volte risultino sbagliate oppure ostili che stanno nei nostri libri. Sicuramente, ponderate, scelte, selezionate, limate  le une dietro le altre perché queste siano lette e comprese da altri. Perché queste parole aprano le intelligenze di chi le legge e permettano un confronto, una critica, un dibattito.

Perché la scoperta, la vera scoperta non banale è quella che quando le idee di un libro, attraverso le parole e le immagini che contiene, i contenuti e i messaggi che trasmette prende corpo, raggiunge un pubblico che può diventare finalmente attento, lo smuove, lo costringe a pensare ad abbandonare il perimetro chiuso del silenzio e degli egoismi e lo apre ad un mondo diverso, fatto appunto di opinioni diverse, originali, brillanti. La lettura non può che nascere da questo: dalla curiosità che smuove, dalla ricchezza delle idee accompagnata dalle parole “giuste”.

Una dietro l’altra, guardando avanti.

 

 

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