Beniamino Mirisola

Debenedetti e Jung


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Nel 1966, Michel David salutava in Giacomo Debenedetti il primo intellettuale italiano che «tentava di vivere il connubio Marx-Freud, o più esattamente e più originalmente Jung-Marx». Questo spunto non ha mai conosciuto ulteriori sviluppi, né da parte di David, né da parte di quei pochi che, studiando la produzione debenedettiana, hanno fatto un rapido cenno al nome di Jung. Eppure, già nelle pagine della Vocazione di Vittorio Alfieri, è possibile osservare come la dottrina dello psicologo svizzero diventi spesso il catalizzatore delle energie, degli interessi e dell’onnivora curiosità del critico. Essa, infatti, offre stimoli intellettuali sempre nuovi e lo invita a rileggere con altri occhi i suoi autori più cari: da Proust a Joyce, da Pirandello a Svevo, da Alfieri a Tommaseo, passando per Tozzi, Verga e Kafka, non vi è quasi scrittore o romanzo che, a partire almeno dal 1943, Debenedetti non sottoponga al filtro junghiano.
Nelle sue mani, la Psicologia Analitica si fa non solo strumento d’indagine, ma anche un insieme di dure prove a cui sottoporre il testo. E così, la familiarità con il mondo degli archetipi, l’attitudine a raggiungere l’inconscio collettivo, la capacità di far dialogare l’Animus con l’Anima, insieme al coraggio di affrontare l’Ombra e di cimentarsi nella discesa all’Ade, diventano altrettanti requisiti imprescindibili per entrare nel severo canone debenedettiano. Diventano altresì parte integrante di un metodo che potremmo definire “critica come processo d’individuazione”.

Sottotitolo: La critica come processo d'individuazione

Autore: Beniamino Mirisola

Anno: 2012

Pagine: 253

Isbn: 978-88-7667-428-0

Edizione:

Collana: Studi e testi di letteratura italiana e comparata

Numero Collana: 2